La conoscenza della propria variante genica correlata alle principali patologie cronico degenerative nei propri cromosomi, e quindi nel proprio DNA, permette di definire e mettere in atto stili di vita e di alimentazione più equilibrati e adatti ai propri personali bisogni e di indirizzare il terapeuta verso la cura più adeguata. Le varianti geniche analizzate dal Test sono le seguenti:
Gene TCF7L2 associato al diabete:
La presenza di una variante di questo gene è stata correlata alla maggiore possibilità di sviluppare diabete di tipo 2 rispetto alla popolazione normale. La variante genica è presente in circa il 32% degli italiani e il suo rapporto di probabilità ( odds ratio ) rispetto alla popolazione normale varia, secondo i diversi lavori, da 1,37 a 1,45. Il rapporto di probabilità è un indice statistico che mette in correlazione un fattore di rischio e una malattia. Quando è maggiore di 1 significa che il fattore di rischio può essere implicato nella comparsa della malattia. Si tratta quindi di un rischio moderato, rispetto alla norma, tuttavia significativo e certamente meritevole di una maggiore attenzione sul futuro da parte di chi evidenzi una variante su un solo gene (condizione eterozigote) o ancor più se è stata evidenziata la variante sulla coppia di geni (condizione omozigote).
Gene FTO associato all’obesità:
La presenza di una variante di questo gene è stata correlata alla maggiore possibilità di sviluppare obesità, rispetto alla popolazione normale. La variante genica è presente in circa il 41% degli italiani e il suo rapporto di probabilità ( odds ratio ) rispetto alla popolazione normale varia, secondo i diversi lavori, da 1,34 a 1,55. Il rapporto di probabilità è un indice statistico che mette in correlazione un fattore di rischio e una malattia. Quando è maggiore di 1 significa che il fattore di rischio può essere implicato nella comparsa della malattia. Si tratta quindi di un rischio moderato, rispetto alla norma, tuttavia significativo e certamente meritevole di una maggiore attenzione sul futuro da parte di chi evidenzi una variante su un solo gene (condizione eterozigote) o ancor più se è stata evidenziata la variante sulla coppia di geni (condizione omozigote).
Gene PNPLA3 associato alla steatosi epatica:
La presenza di varianti alleliche mutate in questo gene favorisce l’accumulo di grasso a livello epatico, fino a creare il quadro definito steatosi epatica (NAFLD, comunemente nota come “fegato grasso”) che può evolvere in steatoepatite non-alcolica (NASH) e/o causare un danno epatico progressivo che può portare a complicanze, anche severe (cirrosi e carcinoma del fegato). La steatosi di per sé si ritrova in circa il 20-30% degli adulti altrimenti sani, percentuale che sale al 50% nella popolazione diabetica e all’80% nei soggetti obesi. Questo problema riguarda anche circa il 10% dei bambini, il 38% dei bambini obesi e il 48% di quelli diabetici. Nella popolazione caucasica, e quindi anche italiana, la prevalenza si attesta intorno al 42%. Modifiche allo stile di vita e alimentari sono pilastro fondamentale nel prevenire e nel curare questa patologia, specialmente alla luce del fatto che non esiste, a oggi, una terapia farmacologica approvata. Il consumo di zuccheri semplici o un’alterata sensibilità agli zuccheri rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di NAFLD/NASH o delle loro complicanze. Una variante allelica mutata come quella testata si ritrova nel 23% degli europei e nel 49% degli ispanici. La presenza di alleli mutati si è dimostrata conferire un OR rilevante, che secondo alcuni autori raggiunge il 3,41 sulla NAFLD ed il 4,44 sulla NASH. Si è evidenziato anche un ruolo nello sviluppo di fibrosi epatica senza NASH, sul rischio di HCC, sul rischio cardiovascolare e sulla riduzione della filtrazione glomerulare renale. Conoscere in anticipo la sua presenza misurando gli effetti degli zuccheri nell’organismo può aiutare chiunque a mettere in atto i giusti comportamenti alimentari per mantenere se stesso e il proprio fegato in buona salute.
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- Zeggini, E. et al. Meta-analysis of genome-wide association data and large-scale replication identifies additional susceptibility loci for type 2 diabetes. Nat. Genet. 40, 638–645 (2008).
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